Come in ogni settore anche nel Fashion Made in Italy la pandemia ha accelerato la digitalizzazione. Ci siamo inventati Fashion Week digitali e Show Room virtuali, che hanno aiutato a riscoprire e dare visibilità a una dimensione locale, al “genius loci”, a valorizzare il Made in Italy che è il vero “brand” delle Pmi che formano il tessuto produttivo italiano. Questo vivaio tra creatività e necessità ha prodotto e sta producendo sinergie e progetti potenti che hanno dato grande visibilità e internazionalità al settore del Fashion Made in Italy prodotto da Pmi e artigiani, che rappresenta circa il 40% del fatturato del Fashion Made in Italy.
Il futuro ha un cuore antico: è ormai evidente che i mestieri del futuro saranno caratterizzati da un mix di competenze artigianali e digitali. Il “saper fare” degli artigiani, le competenze manifatturiere unite alle nuove conoscenze tecnologiche saranno, già lo sono, una leva sempre più competitiva per l’industria di eccellenza italiana. Si dice che i makers , i nuovi artigiani digitali saranno quelli che cambieranno la moda: quanto è diffusa questa consapevolezza e quanto può fare la differenza nel Made in Italy e nello sviluppo economico del territorio?
Nei prossimi 5 anni si stima che “i nuovi talenti del fare” che serviranno saranno quasi 100mila per il mondo della moda. Ma cosa è stato fatto e ancora si può fare per trasformare la figura dell'artigiano nella professione di domani? Per attrezzare le Pmi al cambiamento? Formazione, upskilling e aggiornamento, mismatch tra scuola e mondo delle professioni.
Lo sviluppo di questa promettente frontiera è impensabile e anacronistico se non procede di pari passo con l’attenzione al lato umano, capitalizzando cioè un grande impegno nel campo della sostenibilità, inclusività e diversità . Anche perché le nuove generazioni di lavoratori e di consumatori sono molto sensibili a questi temi. Qual è la consapevolezza e che cosa si fa per alimentarla?